Il vero Ringraziamento: Tacchini in Fuga e tavola vegan

La festa del Ringraziamento - che cade il quarto giovedi di novembre - ed è una tradizione immancabile di riunione familiare per gli americani, vede un gigantesco tacchino su ogni tavola. A fronte di un volatile graziato dal Presidente USA ogni anno (#PresidentialTurkey13), nel 2011 ne sono stati macellati 248.500 milioni al  mondo, di cui più di 219 milioni per gli Stati Uniti, 46 milioni per il Ringraziamento, 22 milioni a Natale e 19 milioni a Pasqua. Insomma, un numero stratosferico: quasi l’88 per cento degli americani non rinuncia al piatto 'forte' della festività autunnale. Ma c’è chi si ribella. Al cinema e nella vita. Esce infatti, anche nelle sale italiane, proprio il 28 novembre, un film d’animazione in 3D il cui titolo ‘Tacchini in fuga’ è tutto un programma. La premessa base della pellicola è la lotta di due pennuti, diversi e complementari tra loro, che portano avanti insieme la missione di "Non salvare 10 o cento tac chini, ma tutti!”. La vita di Reggie cambia il giorno in cui incontra Jake, fondatore del "Fronte per la liberazione dei tacchini", che chiede il suo aiuto per utilizzare un'invenzione modernissima del governo americano e andare indietro nel tempo, al 1621, e riscrivere per sempre la tradizione del giorno del Ringraziamento, eliminando i tacchini dal menù della festa e sostituiendoli con una pizza. ‘Free Birds” (questo il titolo originale) appartiene al genere di storie in cui gli animali, umanizzati, acquistano una voce più comprensibile ai piccoli  (e forse anche agli adulti) e costituiscono un passo importante verso una generazione di ‘mangiatori’ più consapevoli su chi ci sia realmente dietro e dentro al pezzo di carne che la mamma mette sul piatto.  La ribellione vera, quella effettiva, la mettono in atto – a oggi – tutti coloro che (e aumentano ogni anno) sfidando le reazioni della famiglia, le battute ironiche e gli sfottò, si organizzano per un Ringraziamento Vegan, ricorrendo al Tofurky, se proprio non riescono a rinunciare all’apparenza e consistenza tacchinesca, oppure a pietanze alternative, che possono anche fare degli entusiasti proseliti e sono il vero Ringraziamento per il raccolto della stagione appena finita. p.s

Cambiare menu: un gioco da ragazzi

Tania Lombrozo insegna psicologia all’Università della California ed è vegan, la sua voce è adatta, quindi, a descrivere l’atteggiamento mentale che rende facilissimo – a chi lo ha scelto per ragioni etiche-  il non mangiare cibi animali e, aspetto altrettanto importante, il non desiderare più di farlo. E, al contrario, ‘sognare’ e pregustare gli alimenti di origine vegetale preferiti.  Lombrozo illustra la sua personale progressione da onnivora a ‘erbivora’, facendo ricorso anche alla psicologia del cibo. ‘Diamo per scontata, la distinzione tra ‘alimento’ e ‘non alimento, cioè tra commestibile e non commestibile’, spiega la studiosa: un adulto del nostro tempo può automaticamente distinguere i cereali da colazione, e metterli tra gli edibili, dalle riviste, che non lo sono. Non era così facile per i nostri antenati, il cibo allora non aveva etichette.  La nostra specie è una specie ‘generalista’, e si adatta a consumare un’ampia varietà di alimenti: scegliere come nutrirsi è una decisione indotta principalmente dall’esperienza. Gli esseri umani - a differenza dei koala, per esempio, che vengono al mondo con una passione perpetua per l’eucalipto - nascono con preferenze alimentari non formate. E la nostra dieta è frutto dell’esperienza accumulata da coloro che ci circondano: il bambino, come l’animale, viene guidato dagli adulti, in una sorta di ‘tramandamento sociale’ di ciò che deve essere considerato cibo.    Nei confronti della carne – chiarisce Lombrozo – gli umani sono conservatori. La regola è non mangiare quello che non vedi gli altri mangiare. Il risultato è che gli americani non considerano i cani e i gatti come commestibili, mentre altri animali – non meno senzienti – come i maiali e le mucche popolano tante case, ma serviti a tavola. Molti statunitensi arricciano il naso al pensiero di mangiare delle orecchie ma queste, insieme al cervello e alla lingua, sono nel ripieno dei tacos che si trovano dai venditori ambulanti in Messico. In sostanza, se un animale o un derivato animale è considerato ‘tradizionalmente’ non commestibile, il pensiero di mangiarlo ci disgusta: un potenziale cibo diventa cosi  un non-cibo. Trovare un sasso nell’insalata non ci fa schifo, lo scansiamo e fine. Trovarvi uno scarafaggio ripugna un onnivoro, anche se è potenzialmente un alimento, perché la nostra tradizione lo considera un non-cibo.   L’esperienza di Lombrozo - che condivido in pieno, in quanto anche a me è accaduta la stessa cosa - è che, al diventare vegetariana, alcuni degli elementi prima considerati cibo, sono diventati per lei non-cibo. L’idea di mangiare carne è diventata disgustosa, e la reazione ad un pezzo di pollo accidentalmente caduto nell’insalata non era diversa da quella di un onnivoro che vi trova uno scarafaggio.  La reazione è comune. Ed è, anche in base ad uno studio dell’Università della Pennsylvania, proprio la scelta etica a governare un senso ‘indotto’ di disgusto per la carne. Quando la studiosa è diventata vegan, qualche le categorie di cibo e non-cibo si sono modificate di nuovo. Con la scoperta della ampia e diversa classe di alimenti ‘commestibili’ perché non animali, altri – come il latte e le uova -sono andati a finire nella lista nera, con il pollo e gli scarafaggi. Senza nessun rimpianto, né desiderio da combattere, sono semplicemente diventati non-cibo e sono spariti dalla lista della spesa come dai sogni gastronomici. Il nostro cervello ci aiuta, con i suoi automatismi. Nessuna scusa, cambiare menu è un gioco da ragazzi, se ci crediamo davvero.   paola segurini

Internazionale su il vero prezzo della carne

Raramente esce su un settimanale, o su un altro mezzo comunicativo, un'inchiesta così completa sul 'prezzo della carne'. La rivista Internazionale ha pubblicato, sul suo numenro 1025, in edicola la settimana tra l'8 e il 14 novembre, un panorama esaustivo e, ai nostri occhi, raggelante del settore produttivo della carne di maiale in Germania. L'analisi non trascura nessun aspetto,- dall'etico al sociale, dall'ambiente alla salute - dello spaventoso meccanismo fordiano che porta all'allevamento di 28 milioni di suini l'anno (in Italia nel 2012 erano 8,5 milioni), con un incremento del numero di aziende 'allevatrici' passato da 264.000 nel 1993 a 28.000 nel 2013. Alla diminuzione degli allevamenti corrisponde un aumento da horror del numero di individui imprigionati: nel 1993 erano 101 per struttura, oggi sono 985 per ogni ciclo di vita. E le loro condizioni di vita sempre peggiori e improntate alla redditività. Un maialino deve crescere, per esempio, di 850 grammi al giorno, e quadruplicare il proprio peso in 4 mesi. Liquami, nitriti, antibiotici, condizioni di lavoro improponibili se non per persone disperate.  Dati, descrizioni e opinioni di esperti: l'articolo è una fonte d'informazione preziosa su ciò che gira, e come gira, intorno all'animale del quale non si butta, ahimé, via niente, e sul dominio del denaro e della mancanza di scrupoli rispetto alla salute dei cittadini, oltre che degli altri esseri senzienti. E in Italia? Anche da noi non va bene, non abbiamo neanche completato il recepimento della normativa europea in merito di benessere 'minimissimo' dei suini. P.S.

Nuovo allarme riscaldamento globale

Già lo sapevamo, che bisogna Cambiare Menu. Ma ora dobbiamo diffondere ancora di più il nostro allarme per il Pianeta. L’aumento della temperatura è provocato dai cosiddetti “gas serra” (di seguito GHG, dall’inglese Green House Gases), gas cioè, che per le loro caratteristiche chimico – fisiche sono in grado di intrappolare calore dell’atmosfera.  I principali gas serra nell’atmosfera terrestre sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (NO2) e clorofluorocarburi (CFC). Anidride carbonica, metano e ossido di azoto sono prodotti naturalmente dai processi biologici, ma l’industrializzazione ci ha messo, negli ultimi decenni, la sua parte. L’intensificazione sempre più spinta di agricoltura e zootecnia produconi livelli di GHG tali che gli ecosistemi non sono in grado di tamponare e così, liberati in grandi quantità nell’atmosfera, i gas hanno avuto e hanno tuttora come effetto un surriscaldamento del clima globale. I dati che emergono dagli studi effettuati sull’argomento dicono chiaramente che un modo  rapido ed efficace di fermare l’aumento della temperatura globale è ridurre i numeri degli allevamenti intensivi. Gli scenari emersi dalle bozze - trapelate in rete - del prossimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change che sarà presentato a marzo rafforzano la necessità di pensare alla diminuzione drastica del consumo di carne. Le conseguenze drammatiche che il riscaldamento globale avrà, sono descritte qui.

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