Moby, perché lo amiamo tanto?
Lo amiamo innanzitutto perché porta il nome della potente balena inseguita da cacciatori sanguinari - e non è un vezzo, infatti Moby si chiama così in onore dello scrittore americano Melville, da cui discende da parte di madre – e poi perché continua a distinguersi in una sua singolare e unica forma di attivismo per i diritti degli animali.
Nel 2009 a Roma, al suo concerto in Piazza del Popolo, per celebrare il 40° anniversario della discesa dell’uomo sulla luna, tra le 100.000 persone c’eravamo anche noi, che lo abbiamo poi avvicinato allo storico ristorante Margutta, per congratularci per la sua musica e per il suo essere così orgogliosamente vegan. Conserviamo ancora, in sede LAV, il disegno – con il tipico piccolo marziano stilizzato – che ci ha dedicato.
Nove anni fa, da allora sono tante le azioni positive che il prolifico songwriter ha messo in campo per aumentare il volume della voce per gli animali non umani, per l’ambiente e contro i soprusi.
Dall’aver aperto due piccoli ma deliziosi locali - i cui proventi, come per moltre altre delle sue iniziative, vanno a cause e associazioni animaliste - prima a New York e poi a Los Angeles, dove si è trasferito, all’aver messo in vendita parte della sua attrezzatura musicale, i suoi vinili da collezione e anche una splendida villa per sostenere una politica progressista e umana nei confronti di chi ha bisogn, fino a decidere di far riempire di terra la piscina di casa, per creare un boschetto e non utilizzare più la preziosa acqua per il suo piacere.
Per non parlare della sua TedX Conference e del suo recentissimo documentario autobiografico su Netflix: sempre sorprese positive, da Moby, sul suo attivissimo account su Instagram e dagli altri Social.
Ogni giorno è un piacere seguirlo, leggere la autoironia pungente, i commenti acuti sulla realtà USA e il suo ricordarci costantemente che siamo qui – anche e soprattutto - per aiutare gli animali non umani a trascorrere una vita il più felice e dignitosa possibile.
paola segurini